venerdì 15 aprile 2016

Sapere è potere

Decidere di votare ad un referendum comporta decidere "cosa" votare: bisogna cioè farsi un'idea, anche generale, della questione; informarsi, anche se per sommi capi, di cosa si tratta, avere cioé un'opinione. Ed è questo che dà fastidio a qualcuno: chi spinge all'astensione non entra nel merito del problema, non argomenta, non può essere paragonato a chi sostiene le ragioni del "no",  ma tende soltanto a sabotare la consultazione.  Si vuole che i cittadini non si occupino della cosa, si dice "lascia perdere, ci pensiamo noi, non sei in grado di discernere, noi ne sappiamo più di te". Ma chi ha interesse a lasciarci nell'ignoranza non è degno di fiducia, poiché non è un padre saggio che dall'alto della montagna decide cosa è bene per noi. È invece un portatore di interessi, magari leggittimi, ma certo non generali. 
Invocare poi la Costituzione per sostenere la legittimità della propaganda astensionistica è il colmo: il quorum previsto dalla Carta, infatti, non serve certo ad offrire una "terza opzione" ai quesiti referendari ma ad evitare che un numero ristretto o addirittura esiguo di cittadini possa abrogare una legge, possa cioè annullare un atto squisitamente legislativo appannaggio del Parlamento; da qui la necessità di una maggioranza qualificata nel Paese, cioé della metà degli aventi diritto al voto più uno. È da notare poi come questa sacrosanta preoccupazione, che andrebbe generalizzata, strida con le recenti riforme costituzionali ed elettorali approvate, che paiono invece tese proprio a dare potere ad una minoranza risicata e facilmente controllabile di elettori. 

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