sabato 13 settembre 2008

Ercul Puarrot: Delitto al Beach Motel

Ercul Puarrot gorgogliava di gola disteso sul letto della camera 302, al quarto piano del Beach Motel, grigia costruzione a dieci metri dal molo sud del porto.
Fino alle tre di notte, nella stanza vicina, un venditore Folletto di origine messicana si era allenato con gli accessori del nuovo modello di scopa elettrica mentre nel cortile interno tre musicisti moldavi suonavano con le loro fisarmoniche a sesto acuto tutto Sinatra ed una selezione di melodie napoletane.
Poi era caduto finalmente il silenzio ed Ercul si era addormentato incurante degli insetti che si cibavano sulle sue gambe.
Il movimento dalle pale del ventilatore a soffitto smuoveva appena l'aria diffondendo intorno un delicato puzzo di sudore. Dormiva e sognava.
Due ore dopo, improvvisa come un petardo nel buio, una musica sincopata salutò le prime luci dell'alba: la voce stridula di un'addetta al “Risveglio Senile” cominciò ad incitare, urlando al ritmo di un hip-hop, un gruppo di pensionati varesini dalla faccia sofferente radunati a forza intorno alla piscina piccola.
Ercul annaspò confuso nel sonno, pensando di dover spegnere la TV: il sogno si dissolse e quando alzò il braccio destro sopra il cuscino per rigirarsi, uno sbuffo ascellare colpì in pieno le sue narici, riportandolo definitivamente alla realtà.
La doccia bisettimanale, inclusa nel prezzo del soggiorno mezza pensione in offerta speciale, non riusciva ad intaccare minimamente le robuste stratificazioni di deodorante stick, raccolto da campioncini omaggio, ormai indurito tra i suoi peli.
Superò l'attimo di naturale sbandamento ed apri gli occhi fissando il soffitto chiazzato di muffa verde dal quale pendeva un lampadario celeste a forma di ananas.
Il trillo improvviso del telefono lo fece saltare giù dal letto; solo il Capo conosceva quel recapito e capì che la sua vacanza annuale era finita.
“Ercul, ti voglio qui tra cinque secondi” furono le sole parole che udì.
Il completo box-canotta a fiori era un giorno/notte rotativo. Recuperò le infradito dalle fauci di un topo d'albergo e poi, barcollando, puntò all'uscio.
Gli bastò correre giù dalle scale, attraversare l'atrio, uscire sul lungomare e infilare dritto il portone del palazzaccio accanto, storica sede dell'Intelligence cittadina.Salì al 50° piano dove l'Ispettore Capo lo aspettava con la pipa in bocca seduto dietro un'enorme scrivania in finto tek.
“Non lavarti e non cambiarti. Tornerai subito alle tue vacanze ma con un incarico ufficiale. Al Beach Motel succedono strane cose, il direttore ti informerà di tutto. Indaga, risolvi e rapporta. Sii furbo come la faina, rapido come un gatto, ecc. ecc. E' tutto.”
Ercul fece un gesto con la testa, ruotò sulle ciabatte e iniziò la discesa verso l'uscita.
Al 26° piano fu intercettato dai colleghi del Reparto Tutela Ambientale che, classificandolo come rifiuto speciale, lo dirottarono verso una discarica attrezzata al riciclaggio dove fu disincrostato, lavato, centrifugato e sterilizzato.
Uscì a tarda sera munito di apposita certificazione.

II°

Il mattino dopo era desto ancor prima dell'inizio del “risveglio”.
Trascurò le merendine in busta trafugate il giorno prima al bar del piano e si fece trovare alla reception all'inizio del turno di Chen, il portiere cinese.
“Lei quello della tle, zelo, due?” si sentì chiedere col solito sorriso giallastro.
Gli rispose mostrando il suo vecchio distintivo custodito in una lurida bustina di plastica trasparente rinforzata sui bordi con del cerotto da medicazione.
Chen lo fissò richiudendo le labbra.
“Quello lì, all'angolo, è il dilettole. Qualantenne con codino, vedi? Ola lui sta su chat, folse meglio non distulbale."
Ercul si diresse da quella parte.
“Beh, ok” fece accompagnandolo controvoglia, ”ma dilettole essele contlattista e domani scadele suo tlimestle di lavolo, lui flegare di hotel, capito? Lui intelessa solo bionda stlaniela, vedi? Bionda ingegnele lumeno. Tutte bionde lumene dicono: sono ingegnele lumeno. Ma qui fanno ballelina, velina, glande flatello, plendono sole su balca di un uomo licco, cose così.”
Ercul si fermò davanti al tipo col codino.
“Per i reclami c'è un modulo al banco” disse questi senza alzare la testa dal monitor.
Mostrò la tessera anche a lui.
La bionda lo guardò con disgusto, l'uomo lo fissò per dieci buoni secondi senza espressione.
“Ah, sì, vi ho chiamati io.” disse poi.”Beh, è scomparso il gelataio, tutto qui. Domani ci penserà il nuovo direttore. Io vado via.”
“No lubato gelataio macchina” spiegò Chen, “ ma gelataio cinese, ola lui scompalso da tanto. Chen fa vedele dove. Andiamo cucine, dove stava flatello gelataio.”
“Si Chen, accompagnalo tu. Io ho da fare.”
Le cucine occupavano il piano interrato dell'edificio. La circolazione dell'aria era assicurata da quattro ventole ai lati della grande sala; due erano ferme da parecchio, a giudicare dai ragni che vi avevano fatto casa.
Tra il puzzo di grasso fritto ed i vapori di carne bollita Ercul incontrò gli occhi di Chen il cuoco, di Chen l'aiutante, di Chen il lavapiatti e dei gemelli Chen, i camerieri.
“Qui tutti Chen capo, ma da tante palti Cina, così ogni Chen divelso da altlo Chen. Se tu chiami Chen tutti voltano pel educazione ma non sanno chi tu vuoi. Flatello Chen gelataio manca già da tle notti, lui doveva fale gelato mandolla, questo ola manca, è glave colpa pe' occhi cinesi.”
Ercul guardò le pentole dove bollivano a fuoco basso brodaglie colorate puzzolenti.
“Planzo ospiti” sorrise Chen, ”noi mangiale matliciana, bistecca e patatine.”
Poi mostrò un grande ripiano sul lato destro. “Ecco posto lavolo Chen, con sua macchina gelato e glanite. Lì vicino polta magazzino Chen; ma nessuno entlale mai, dentlo tutti suoi piccoli segleti, se tu entlale lui allabbiale molto, diventale molto pelicoloso.”
Ercul lo fissò per un attimo, poi andò dietro al banco e spinse con decisione la piccola porta.
“Ooooooh!” fece Chen.
“Oh!” fecero gli altri, ammirati.
Nel buio del locale si distinguevano appena i grandi bidoni dalle etichette colorate: roba dolciastra, aromi, sciroppi, polvere di cacao, frutta liofilizzata e tanto zucchero. Su uno scaffale il volume dei dolci della “Perfetta massaia – scuola di cucina per fanciulle da marito” edizione 1954 ed una raccolta completa di “Caballero” del 1970.
Il tanfo riempiva le narici come ovatta pressata. Ercul accese la piccola lampada a soffitto e la scena si rischiarò.
Da un bidone color panna seminascosto in un angolo veniva fuori qualcosa, come due grossi zamponi di maiale: erano le gambe nude di Chen che era stato ficcato a testa in giù nello sciroppo di mandorla, il suo ultimo gelato. Una fine dolcissima.
“Oh!” disse Chen.
“Ooooooh!” dissero gli altri con una smorfia.
“I ragazzi della scientifica si leccheranno le dita” pensò Ercul mentre chiamava in centrale.

III°

Quando tirarono fuori il corpo dal bidone il volto del gelataio era sorridente e i denti cariati si confondevano con le blatte che gironzolavano svelte tra il collo e la faccia giallastra.
Ercul scrutò nel fondo del bidone: la massa cremosa si era richiusa inghiottendo come sabbie mobili qualcosa che Ercul osservò pensieroso.
“Blutta cosa” disse Chen, “blutta, blutta cosa. Questa può essere cosa di laket.” aggiunse piano.
Ercul lo fissò, poi fissò gli altri.
“Lui detto cosa di laket” si affrettò a dire il cuoco scuotendo la testa. “Non detto noi cosa di laket.” “Ma”, aggiunse, “se è cosa di laket, come detto lui, pelchè noi tlovato gelataio? Laket faceva spalile gelataio come suo gelato che scioglie al sole.”
“Gelataio ela vecchio gelataio, folse questo è benvenuto pel giovane gelataio, non sappiamo.”
Ercul riattraversò deciso le cucine fendendo l'aria senza respirare; agli altri il compito di ripulire. Tornò nella sua camera. Ora aveva un problema: poteva continuare a mangiare le porcherie dell' albergo o cercare un posto a basso prezzo nei paraggi. Ma il prezzo, quantunque basso, andava pagato: e questo non poteva accettarlo.
Il suo pomeriggio trascorse tranquillo. Lo passò riflettendo intensamente ad occhi chiusi nel suo letto.
Si svegliò per cena. Dalla sua vecchia borsa da palestra tirò fuori una maglietta relativamente pulita. L'aveva presa coi punti carburante di una delle macchine di servizio e l'impronta sul petto del logo plastificato era ancora visibile.
Scese in sala ristorante e prese posto ad un tavolo dal quale poteva vedere gli altri, per assicurarsi che portassero a tutti la stessa roba.
Alle nove si presentò il quarantenne col codino, accompagnato dalla bionda e da un giovanotto in doppiopetto blu rigato che si muoveva indeciso dentro un paio di stivali a punta texani bianco panna.
“Questo è il nuovo direttore” annunciò. “Lo troverete nel solito ufficio, se serve. Buon appetito.”
Uscì seguito dalla spilungona rumena. Il tipo in doppiopetto si agitò dentro gli stivali, abbozzò un sorrisetto e seguì svelto i due. I gemelli Chen cominciarono a servire la minestra.
Continua

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